Il tesoro de la Porta
Capitolo 1 - Luminanza
- Sì... sì, ho capito; ho sentito!
Il vecchio parlava col suo stesso pensiero, come se “il personaggio” fosse effettivamente presente, vivo e vegeto, nella piccola stanza da letto; non si chiedeva più se stava diventando matto o se la fantasia lo inducesse a sfociare nel ridicolo: una pantomima umiliante e del tutto privata, innescata dalla solitudine.
- Te l’ho detto già... devi aspettare! – Lo pensò ad alta voce, poi ridacchiò, ironico, mentre annaspava cercando di raccogliere le forze per alzarsi dal letto trasandato – Tengo altri “clienti” prima di te!
Quello era il momento più intenso e più atteso della giornata ma forse sarebbe stato meglio dire della notte.
Gli succedeva quasi sempre verso quell'ora, le tre del mattino: l’ora più misteriosa del tempo. Mezzanotte è passata da un pezzo e già i fantasmi cominciano a ritirarsi nei loro avelli silenziosi o, semplicemente, nei meandri segreti delle menti più tormentate... e intanto l’alba è ancora lontana. Da qualche parte aveva letto che mai, come alle tre di notte, la vita è tanto vicina al regno dei morti e la coscienza è confusa, spesso tanto da non distinguere nettamente le ombre dai corpi in carne e ossa; il passato perduto dal presente imminente.
Nella casa non c’era più nessuno da anni, a parte quella figura nota che, mentre sognava, sembrava molto più carnale, effettiva; adesso, man mano che riprendeva coscienza, diventava sempre più impalpabile, quasi trasparente.
La donna se ne stava là, con l’aspetto teso ma pacato, e sedeva sul bordo d’una sedia con l’aria di chi è costretto a star fermo, eppure sente impellente l’urgenza di tornare a chissà quali, improcrastinabili, impegni. Sul bel viso di fanciulla bruna, l’ombra di un’espressione grave, tipica di quelle antiche ragazze del meridione, diventate “mamme” troppo presto.
Il vecchio non aveva alcuna paura di lei, anzi, di tutti i fantasmi “letterari” che popolavano le sue lunghe notti insonni, era la figura che amava di più; nonostante lo rendesse un po’ triste. Si divertiva a rimandare il suo assurdo rapporto con quella che non poteva che essere una sua ennesima fantasia. Che importanza poteva avere se era matto oppure no? Neanche più i figli avevano grande interesse per lui. E così lui ci giocava: un po’ perché quella compagnia gli piaceva, ma anche perché, sotto l’ironia, sentiva che, su quelle carni diafane doveva esserci tatuata una storia, una tra le più terribili che avrebbe mai voluto conoscere e, di conseguenza, scrivere.
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