La donna della vendetta
Capitolo 6 - Ultima cena
La sala da pranzo era molto carina, piena di colore ma fine e ben arredata; non era grande, come tutto il resto dell’Hotel, una decina di tavoli, su di ognuno non mancava un vasetto di fiori freschi; i coperti erano impeccabili ma solo sul tavolo, loro riservato, c’erano sottopiatti in ceramica e un secchiello, già pieno di ghiaccio, per ospitare il vino.
La cena era “al Buffet”: le donne, tutte di famiglia borghese, erano perfettamente in grado di apprezzare l’esposizione di raffinate pietanze e la scelta del nutrito menù, corposo ma a base di ingredienti leggeri, perfettamente adatti ad un pasto serale.
Le tre amiche erano sole, a parte la presenza discreta e spassosa del caro Pier: con la sua andatura indecifrabile e il figurino da “checca”, faceva di tutto per rendersi utile e non far mancare niente alle ospiti.
Essere sole nel locale, dapprima creò un certo disappunto nelle signore ma quando venne stappata la seconda bottiglia di uno champagne delizioso, perfettamente abbinato ai pasti da Pier, non poterono che apprezzare la fortuna di avere un ristorante tutto per loro. Essere libere di non sottostare troppo all’etichetta, dapprima era sembrato sconveniente: adesso era una gioia, e loro se la goderono, lasciandosi andare e dimenticando persino il cameriere che, discretamente, come fosse una missione, faceva di tutto per farle sentire a proprio agio.
Finirono tardi, verso le 23, tra risate e schiamazzi, con le scarpe in mano, si decisero a lasciare la sala. Il Buffet era stato onorato, tutto era stato assaggiato. Chissà da quando, al centro del grosso tavolo, un elemento strideva col resto dell’esposizione dei piatti di portata, che giacevano intorno, tutti scomposti e assaltati. Era un calice, un largo calice di vetro… probabilmente antico e di fattura italiana; era pieno per metà di un vino rosso e denso, sembrava sangue. Appoggiato su di un lato del bicchiere, un pezzo di pane semplice che, a furia di assorbire il liquido, vi si cominciava a spappolare dentro… Ma nessuna delle tre ci fece particolarmente attenzione: probabilmente, in quel caso, l’impeccabile Pier aveva “toppato”.
Mentre si avviavano, fermamente decise a servirsi dell’ascensore (avevano tutte e tre le gambe molli e la testa che girava un po’), si trovarono davanti Pier, sorridente e compito, che con un gesto teatrale le indirizzava verso la Sala delle Conferenze; la porta adesso era aperta e la luce che ne proveniva era abbagliante.
“Perché no?” pensò Polly… poi ad alta voce:
« Ehi, ragazze, non siete curiose? Andiamo! Andiamo a sbirciare in anteprima, dai… c’è anche il detto no? Come faceva, Geimy? “la curiosità… la curiosità…» e intanto imboccavano insieme l’ingresso della sala, andando incontro alla luce accecante di mille faretti…
«La curiosità uccise il gatto… faceva così!» una voce stridula e alterata terminò il pensiero confuso di Polly Horse.
“Ma chi aveva parlato? Era stato Pier… Pier?… ma non era muto, Pier?” Ormai era troppo tardi per provare a pensare. La porta si chiuse, le luci si spensero e loro tentarono di gridare… ma caddero, intontite e assonnate: caddero lungo una breve scala. Le loro grida divennero lamenti e poi, silenzio.
Erano passate le due di notte, stava entrando in casa quando il cellulare squillò, era lei!
«Yours!» disse, per abitudine, poi «Amore mio… quanto mi sei mancata: stavo impazzendo! Adesso mi dici cosa ho fatto stavolta… ok? E non permetterti di riagganciare…»
«Perdonami, tesoro mio… Tu? Tu non hai fatto niente, assolutamente… tu sei il mio unico amore.» la voce di lei era concitata, come avesse fretta.
«Dove sei? Dimmi dove… vengo subito da te!» Yours la interruppe ma lei non lo ascoltò…
«Sono fuori, gioia, mi spiace… è successo tutto all’improvviso… è un affare, amore, un affare a cui stavo dietro da tempo: ora si avvera, è un’occasione che non posso perdere. Cerca di capire…»
«Capire…» la incalzò l’ispettore « Capire cosa? Ho bisogno di te… anche se; beh, veramente adesso ho un caso, un rompicapo fuori città ma io… io lascio perdere tutto, per te lascio tutto… vadano in malora loro e i loro criminali del cazzo! Io, io voglio…»
«Lo vedi?» disse Eva, più pacata, con maggiore tenerezza. «È una fortuna, hai da fare pure tu. Pazientiamo qualche giorno, ti prego, se va in porto il mio affare mi sistemo per sempre, vedrai. Ti amo tanto… il mio detective!» poi aggiunse, quasi ridendo, «E vedrai, ho anche una sorpresa per te; vedrai, niente più sotterfugi, saprai tutto della tua Eva… così la smetti di scervellarti, amore mio… ricordalo sempre: Tu sei l’unico amore mio… sempre… qualsiasi cosa accada!» Ora la voce di Eva sembrava velata di tristezza.
«Ma cosa vuoi che accada? non dire sciocchezze…» disse lui quasi rabbioso.
«Fai bene il tuo lavoro mio dolce detective… ci vedremo presto… lo giuro!»
Eva posò e Yours si ritrovò solo nella stanza. Mise la mano in tasca, automaticamente, e tirò fuori la bustina trasparente con dentro la Fede del morto.
Indagini per capire
«Oh, oh… detective Yours» la vecchia signora sorrise e girò le spalle alla porta, si avviò verso il soggiorno e, rivolgendosi ai gatti, «Qualcosa mi dice che il “governo” ha deciso di versarci un po’ di Salmone del Volga… e per me, un sorso di Vodka speciale!» Lara era una che prendeva la vita con filosofia; la persona ideale dopo una notte insonne.
«Non hai una buona cera, Yours… sarà la tua fidanzata a tenerti sulle spine? L’incertezza d’amore, è uno degli ingredienti per conservare una grande passione.»
Lui era preparato, sapeva che Lara Kovalski riusciva sempre a mettere il dito sulla piaga. Voleva attribuire tutto il “malessere” al caso del cadavere senza volto, ma il vero chiodo fisso era Eva.
L’anziana psicologa era anche appassionata di misteri e, a tempo perso, si era laureata in matematica e scienze. Così, qualche volta, faceva consulenze per Scotland Yard; ma ormai il suo vero lavoro era scrivere. Yours era uno dei pochi “clienti” ammessi nel suo salotto. Ospiti fissi erano gli amati gatti; per fortuna, il soggiorno della donna era adatto alle esigenze dei mici… una delle pareti era fatta di vetri. Nella parte bassa c’erano molte aperture che davano sul grande giardino.
Il poliziotto accettò il caffè. Non erano ancora le nove ma la giornata della Kovalski era già avviata. L’uomo espose quello che sapeva e poi richiamò la sua attenzione sull’anello… per lui quella “fede” era un segnale, non a caso era infilata al dito indice. Yours temeva di trovarsi di fronte un Serial Killer; sapere che degli innocenti potevano venire uccisi senza un motivo apparente, lo mandava fuori di testa.
Dopo il caffè, Lara divenne più attenta e venne subito al sodo. Fece al detective una serie di domande; volle vedere le prime foto del corpo e così le scaricarono direttamente sul suo PC. Contrariamente al salotto, lo studio era asettico e tranquillo, tenuto con ordine maniacale. Mentre lei esaminava la fede al microscopio, Yours chiamò il patologo dell’East Kent: per fortuna era a buon punto. Mise il telefono in viva voce: “…un colpo d’arma da fuoco, sparato alla nuca. Il decesso risale a non più di 3 giorni fa. Il sangue si è coagulato rapidamente nel corpo, probabilmente per congelamento. La pallottola era ancora all’interno del cranio, quasi certamente una pistola. Il calibro è raro: 25 mm!” Yours e Lara non si perdevano una parola, intanto la donna faceva volare le dita sul PC: la caccia era aperta e lei aveva accettato di essere della partita!
“Ah… una cosa: niente pesci né animali strani, le mutilazioni del viso e dei polpastrelli sono state praticate con un bisturi. Un lavoro non preciso ma efficace; direi che l’assassino non è un chirurgo… e neppure un macellaio …ehm!”
Le donne si ripresero lentamente. Erano doloranti e intontite; la caduta per le scale aveva avuto le sue conseguenze… Geimy Sovrano doveva pure essersi rotta un mignolo; quando si toccò il dito che le doleva, era gonfio e caldo al tatto. Tutte si erano procurate dei lividi abbastanza vistosi. L’ambiente era freddo e puzzava di umido; poi si accese un neon, da qualche parte. Si resero conto di trovarsi nel deposito dell’Hotel. L’edificio era nato per quello scopo, quindi, nel seminterrato, c’erano solo pilastri, per lasciar spazio al deposito. Di fronte alle scale, su una parete, spiccava la porta di una cella frigo.
La gravità della situazione divenne chiara rapidamente: non sapevano da quanto fossero lì sotto, avevano freddo, si sentivano male ed erano completamente nude. Tutte erano legate come cani, tramite un paio di manette modificate e agganciate a una catena lunga, fissata a ganci sui pilastri.
La porta della cantina si aprì e qualcuno scese per le scale. Dopo un attimo di smarrimento le tre riconobbero la figura appena arrivata… ecco chi era l’improbabile Pier! Ecco spiegato lo strano modo di incedere e il finto mutismo.
Come un fantasma, la figura effeminata si muoveva lentamente, sembrava interessata esclusivamente alle catene che le tenevano prigioniere.
«Ascolta, vecchia troia,» la Soprano dimenticò persino il dolore e, schiumante di rabbia, aggiunse «la mia famiglia non perdona: ti faranno a pezzi per questa pagliacciata!»
L’altra alzò lo sguardo e abbozzò un sorriso amaro:
«La tua famiglia… non ti rivedrà mai più viva, miss Sovrano!»
Polly Horse fu la prima a rendersi conto che per loro era finita sul serio… e vomitò, mentre si accasciava sul pavimento.
Era mattina presto, quando Yours arrivò nel vecchio magazzeno in disuso. Stavolta il cadavere era in perfetto stato; era stata una bella donna, sembrava dormisse se non fosse stato per il piccolo foro nella nuca. Sul pavimento polveroso il suo “abbigliamento” sexy, strideva vistosamente; sembrava una bambola in “burlesque”.
Il cellulare squillo, era Lara: “La fede, ispettore, la scritta… non è una data ma un indirizzo…”
«Lo so,» disse Yours, senza forze «cerco di tornare presto a Londra…»
“No, se puoi, aspettami lì, credo sia meglio.” disse Lara, avvilita.
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