Una notte a Marienbad
Capitolo 10 - Gli Amanti

Il vecchio ora taceva, assorto nei suoi pensieri. Il suo volto pieno di rughe era del colore del cuoi consunto, nella semioscurità. Teneva gli occhi chiusi ... o orse si era assopito.
Fabio si riscosse e, rimessosi in piedi, andò verso il portone.
- Ehi! – esclamò – la nebbia si è diradata ... e non fa neppure tanto freddo, sapete? –
Il vecchio si riscosse: - Eh si ... ve lo avevo detto. – rise – Li conosco bene questi boschi, io. –
- Ma ... ma ... – disse Angela un po’ delusa – e la storia? Come finisce il racconto? –
- Oh ... noi dobbiamo andare adesso, che ti prende? – Fabio era quasi arrabbiato, sua moglie non si rendeva conto che erano fuori, in piena notte e in emergenza.
- Ah si, ha ragione Fabio! – disse il vecchio, mentre i due giovani si lanciavano uno sguardo titubante, erano certi di non avere mai detto i loro nomi a quell’uomo.
- La storia è finita, “angelo” mio, - ecco, così faceva capire di avere indovinato anche il nome di lei.
Ma la ragazza non riuscì a trattenersi: - Ma ... e il Principe? –
- Il principe ... il principe ... ecco lui passò un lungo periodo a meditare, a riprendersi, a considerare l’accaduto. Lo sapete, egli per dieci anni aveva visto tutto in modo falsato. Aveva solo occhi per la tumultuosaa espansione dei suoi domini, per i festini dopo i trionfi ma aveva completamente perso il contatto con la realtà. Si chiedeva quanto era costato alla gente la sua campagna di conquista e dominio. Consultò con i suoi fidati consiglieri e si fece aiutare a ricostruire quella parte di ricordi che gli mancava. Scoprì così che, ottenebrato dal filtro, non si era accorto di quanto sangue e sofferenze erano costate le sue gesta. Alle spalle di ogni trionfo si nascondevano villaggi saccheggiati, città sventrate, vite spezzate. Molte madri avevano pianto i loro figli caduti e molti figli avevano trovata vuota la loro casa e le madri massacrate. La pace, anche in povertà del passato era stata piena di vita ora aveva ceduto il posto a una pace effimera, piena di livori, mantenuta con la forza per sostenere il malcontento. Insomma, la pace imperiale era semplicemente il frutto della paura per il controllo dei militari. Il principe capì e sentì il peso di tutto quel male; nonostante tutto era lui il responsabile di quello scempio.
Un giorno fece convocare una donna saggia proveniente da ognuno dei paesi conquistati. La sua decisione sembrò strana e destò scalpore ma le matrone arrivarono e vennero ospitate con tutti gli onori. Un mattino nella grande corte fece approntare tanti carri quante erano le donne che, stupite, si erano ritrovate a corte. Ogni carro fu riempito di ricchezze e doni, e ognuna, scortata da guerrieri fidati, fu esortata a fare ritorno nel suo paese, restituendo un po’ di benessere e la libertà alla popolazione. E la gestione delle ricchezze, per ordine dell’Imperatore venne proprio affidata alla saggezza delle donne che da sempre si erano dimostrate meno avide e più realiste dei vanitosi uomini di potere.
“Questo è l’ultimo regalo del vostro principe – disse il giovane e le lasciò partire con la sua benedizione.
Qualche giorno dopo si presentò a corte vestito alla buona, riunì tutti i suoi luogotenenti, i fedelissimi e li abbracciò, uno ad uno, poi lasciandoli di stuccò li salutò, dicendo loro che sarebbe partito per un lungo viaggio e non sapeva se si sarebbero mai più rivisti. Aveva bisogno di meditare, di espiare e di far pace con se stesso in solitudine. Salutando tutti con affetto, senza attendere risposta né soddisfacendo alcuna perplessità, il duce sparì nel bosco e nessuno ne seppe più nulla.
Mentre avanzava tra i sentieri solitari, voltando le spalle alla civiltà, il principe pensò tra sé che probabilmente non era stata la migliore delle decisioni. Che dopotutto altri avvenimenti si sarebbero verificati ... che forse non tutti i suoi capitani sarebbero stati onesti e giusti, forse non tutte le matrone sarebbero tornate indenni dalla loro missione ... forse, nel mondo, la cupidigia, la lussuria e l’inganno avrebbero trionfato ancora, anche nei tempi a venire. Ma a lui piacque pensare che tutto sarebbe andato per il meglio. Dopotutto era stato costretto a sognare una specie di incubo per dieci anni, adesso poteva pur permettersi un piccolo sogno tutto suo. –
- E quindi – disse Angela, mentre Fabio faceva di tutto per trascinarla via – nessuno sa cosa gli sia successo? E ... l’ampolla, anche quella è sparita con lui?
- Ah, ah – il vecchio ora rideva con una vena di leggera follia.
- Sei completamente uscita di testa – urlò Fabio incazzato nero – io mi avvio fuori, se tu hai perso la testa sono affari tuoi. – e per mostrare tutta la sua esasperazione, uscì nella notte fredda.
- Vieni, signora - e lo strano essere fece segno con la mano – vieni a vedere. –
Così dicendo, sciolse il nodo dell’involto di stoffa, appeso al suo lungo bastone.
All’interno dello straccio, un antica boccetta di vetro, opalescente e consunta dal tempo, faceva bella mostra di sé ...
- L’ampolla l’ho trovata io, bella sposina ... ah ah – rideva ancora, folle – e l’ho lucidata per bene. Guarda, signora, adesso si legge bene la targhetta ma, all’inizio no ... prima era tutto confuso. Guarda, Angela. –
E lei guardò.
Sull’ampolla una catenina teneva una targhetta d’argento, nonostante la luce fioca, si leggeva distintamente la scritta: “Elixir dell’illusione”.
- Capito? ... capito ... ? ah ah – la strana risata del vecchio, diventava sempre più folle ma Angela non lo temeva più ... avrebbe voluto capire, interrogarlo, ma Fabio la incalzava e cercava alacremente di strapparla alla notte. Finalmente raggiunse il marito, fuori dalla torre diroccata.
Ciò che vide ora che la nebbia era quasi scomparsa la lasciò esterrefatta; ecco perché Fabio non strillava più, anche lui era sconvolto da quella inattesa visione.
Fuori, nella bruma che si diradava, l’intricato groviglio di erbacce non esisteva più. Dalla notte oscura erano spuntate le alte mura di un castello medioevale: innumerevoli torce illuminavano gli spalti e l’accesso, poi l’ampio ampio cortile. Sui pinnacoli e sulle torri, garrivano antichi stendardi dai colori vividi. Alcune delle alte finestre coi cristalli d’ambra erano illuminate dall’interno e, dal moto d’ombre in trasparenza, si intuiva che le antiche sale dovevano essere straripanti di vita.
Il tempo di riprendersi dallo sbigottimento e Fabio la prese per mano, tirandola: - Andiamo via di qui ... presto! –
Trascinò via la moglie incantata come da un sortilegio, con la speranza che, l’enorme portale spalancato non nascondesse inattese insidie ma, per fortuna, lo attraversarono illesi e uscirono, correndo a perdifiato, nella brughiera.
La risata del folle riecheggiava nel buio accompagnandoli nella loro corsa scomposta e dissennata. L’obiettivo di Fabio era mettere la maggior distanza possibile tra loro e quel mondo misterioso, assurdo ... inconcepibile.
E…fu accontentato.
Dopo poche decine di metri si ritrovarono nel buio, la notta era tornata fredda e solo le stelle offrivano un minimo di luminescenza.
Si fermarono a riprendere fiato, ad Angela era anche saltato via un tacco che si era perso chissà dove. Si voltarono per orientarsi; Fabio voleva far riferimento alle mura del castello, per cercare di ricordare da che lato ci fossero arrivati.
Ma ora non poteva credere ai suoi occhi: ... non c’era più nessuna muraglia, nessun portale e e men che meno un castello, niente di niente. Eppure solo pochi istanti prima loro stessi avevano varcato quella breccia, entrambi avevano visto le mura, le fiaccole, il vecchio… e tutto il resto. Nonostante fosse buio, era chiaro che di una costruzione così imponente non era rimasto niente. Come poteva essere?
Fabio ebbe un brivido e, in cuor suo maledisse quella notte strana; sperava solo di venirne fuori. Si sentiva impaurito e confuso, e anche in colpa per avere trascinato Angela in questa incredibile situazione. Non era un eroe; loro non erano persone da avventure e misteri: erano persone semplici, con i loro piccoli sogni e la loro vita normale. Che cosa mai gli stava capitando?
- Guarda… guarda là, Fabio – disse Angela, scrutando nel buio.
Era buio ma non troppo lontano delle luci variopinte sfavillavano, pulsando in lontananza. Non potevano sbagliare, si trattava di luci: le normali, deliziose, confortanti lampeggianti, si alternavano col giallo e col blu.
Quando si accorsero che, tra i cespugli, si muovevano anche delle persone con in mano delle torce, iniziarono a correre, senza rispettare più alcuna prudenza, gridando per farsi trovare.
Avrebbero affrontato tutto pur di essere certi di tornare nel mondo civile, dove le cose erano ciò che sembravano. Gridarono nella notte e, poco dopo, furono sentiti.
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