Il Voynich rivelato - 2
Lunghi, tremendi, attimi; impossibile misurarli, nonostante questo, tutta la vita del giovane Sacerdote, gli attraversò la mente… e intanto precipitava, cadeva nel fuoco ardente che coceva il volto dei presenti, anche a oltre cinque metri di distanza. Per l’ultima volta osservò la massa rossa sperando che il Serpente Alato, avesse pietà e gli donasse una fine senza troppe sofferenze.
Qualcosa colpì Tamhal, scaraventandolo lontano, come una biglia; l’uomo rotolò lungo il crinale della costruzione che, verso la base, diveniva sempre più scosceso: la sua caduta non vedeva fine. Le ossa colpivano le pietre aguzze della scalea, incrinandosi e spezzandosi.
Quando raggiunse il fondo della scarpata era poco più di uno “straccio” sanguinolento; il bruciore delle ferite sembrava lo stesso del fuoco dove stava per precipitare.
Intorno a lui, il rumore assordante di cento tuoni! Enormi massi cadevano fischiando sulla piana, facendo strage dei presenti, talmente esterrefatti da non cercare neanche una possibile via di fuga; paura e superstizione tenevano la gente bloccata nella morsa del terrore. Il macigno, che aveva colpito di striscio Tamhal, era poi sprofondato con forza nella grossa pira infuocata. Rami e tizzoni ardenti, erano schizzati lontano, attraversando, in certi casi, il corpo di qualche malcapitato e restando infissi, come frecce di fuoco, condannando la vittima a una sofferenza inaudita. Poi il Sacerdote perse i sensi e non vide più niente dell’ira del Dio.
“E il sole si fermò in mezzo al cielo e non si affrettò a tramontare per quasi un giorno intero, e la luna rimase al suo posto. Mentre fuggivano davanti a Israele ed erano alla discesa di Bet‐Oron, il Signore fece cadere dal cielo su di loro delle grosse pietre fino ad Azeca, ed essi perirono: quelli che morirono per le pietre furono più numerosi di quelli che i figli d’Israele uccisero con la spada.”
Giosué, Terra di Canaan, 1393 B. C. – NdA
Un giovane sudato
Davide sudava per l’emozione; sapeva di essere stato introdotto in un luogo segreto, un santuario della Scienza. Corbett non lo aveva messo alla porta, con “tanti saluti”, trattandolo come era certo di sembrare: il solito ignorante da giornaletto dei Misteri. Al contrario, si era ritrovato con tanto di “pass” Vip, ad attraversare i corridoi semi‐deserti della biblioteca sotterranea, un’ala, già quella, del tutto interdetta alla gente comune.
Entrarono, poi in una piccola sala, senza sedie e abbastanza spoglia. C’era un tavolo alto con due PC da consultare in piedi, e, dentro una specie di frigorifero con la porta di vetro, illuminato da una tenue luce azzurrina, un grosso tomo, senza copertina e senza indicazioni. Molte pagine sporgevano dalla risma, segno che il libro non era stato mai rifilato. Davide si sentì indegno… il solo “incontrare” un libro originale di oltre seicento anni fa, era un’emozione che non avrebbe mai scordato.
Corbett non parlava; mise in moto i computer. Su una parete, del tutto inglobato nell’arredamento, uno schermo gigante si accese. Poco dopo si aprì la classica schermata con infinite cartelle e sottocartelle, accuratamente catalogate. Il professore iniziò una ricerca, stavolta parlava in inglese:
‐ Nel manoscritto originale ci sono delle tavole. Sono redatte su enormi pergamene, intere, una cosa inusuale per l’epoca e, apparentemente, senza spiegazione.
‐ Le ho viste – si permise di intervenire il ragazzo – sono quelle che “stridono” col mio “scrolling”.
‐ Ora stia molto attento – disse Corbett, ignorando le sue parole – Circa quindici anni fa abbiamo girato questo filmato, con l’ausilio di tecnici esperti di “ripresa singola”; la tecnica dei cartoon, per capirci.
Il filmato che comparve sullo schermo mostrava un Corbett assai più giovane che spiegava come si sarebbe svolto l’esperimento, poi la ripresa ritrasse le grandi pergamene con le immagini degli strani rosoni. L’operatore aveva inquadrato al centro dello schermo le singole immagini; all’improvviso la prima iniziò a ruotare. Raggiunta una certa velocità, la ripresa passava in primo piano, selezionando una specie di spicchio visuale.
Davide non credeva ai suoi occhi… le figure, adesso avevano un senso e si muovevano, come in una specie di breve video che si ripeteva all’infinito.
Qualcuno bussò alla porta e, senza indugiare, la spalancò. Davide si convinse ancora di più che quella giornata sarebbe stata memorabile: inquadrata nel rettangolo della porta c’era una stupefacente figura femminile. I lineamenti della ragazza, sicuramente europea, avevano però qualcosa di asiatico, come gli occhi lievemente a mandorla di un notevole verde oliva. Era bellissima.
La donna lo ignorò del tutto, affrettandosi, invece, ad abbracciare Corbett, che accettò la stretta ma con un certo disagio.
Tra le pagine arcane
Gli artistici medaglioni inseriti nel Manoscritto, quindi, se fatti girare in modo da raggiungere 25 fotogrammi per secondo, prendevano vita e rappresentavano dei piccoli brevissimi “video”. E questo, il professore, con un punto d’orgoglio, lo aveva già stabilito, molti anni prima… ma i “filmati”, così come il resto del Manoscritto, ancora una volta, non significavano niente o, meglio, non si capiva assolutamente cosa volessero nascondere.
Fecero una breve pausa per colazione e Davide fu invitato a restare; lui sprizzava felicità da tutti i pori, cercando di non darlo a vedere. Corbett lo presentò alla donna: si chiamava Claire Raven ed era un archeologo. La Raven aveva un contratto come ricercatrice con la Yale ma non aveva una Cattedra fissa, diciamo che era più un ospite ma di grande prestigio. Aveva una storia col professore, e non facevano nulla per nasconderlo, però gli fu presentata come… preziosa collaboratrice. Claire doveva avere trent’anni meno di Corbett e una decina più di Davide ma il giovane se ne invaghì a prima vista, cominciando a trovare il vecchio professore, sempre meno mitico e sempre più antipatico.
Alle 14 si ritirarono tutti nel laboratorio, compreso il giovane e solerte assistente, intravisto al mattino; si chiamava Dan. Toccò a Davide, stavolta con grande precisione, spiegare che cosa avesse notato davvero, scorrendo le pagine del manoscritto. Adesso non aveva più la sensazione di parlare a vanvera, al contrario, si sentì contagiato dall’attenzione e dall’intelligenza fuori del comune dei suoi interlocutori. Mentre parlava, veniva capito immediatamente e spesso anticipato; per il momento era Dan a manovrare i due computer per manipolare il testo digitalizzato, utilizzando programmi del tutto sconosciuti. Dan non ebbe bisogno di spiegazioni ulteriori e, per un attimo Davide, ebbe l’impressione che lui avesse origliato, ma poi attribuì tanta dimestichezza al fatto che, a sua volta, doveva essere uno scienziato, nonostante l’età. Iniziarono gli esperimenti veri e propri: effettivamente, a 25 fotogrammi al secondo, scansionati al quarzo, era molto forte la sensazione di vedere qualcosa. Abbozzi di immagini, tra le ombre formate dalle macchie dei testi e dalle macroscopiche figure. Tentarono varie combinazioni e diversi tipi di sfocatura o viraggio, senza incontrare però nessuna traccia significativa. Erano le 21 quando decisero di lasciar perdere e si accinsero a lasciare la sala, dove ormai l’aria pesante odorava di caffè.
Ora, l’italiano, credeva di comprendere le parole della strana confessione, fatta dal professore poco prima: “Il Manoscritto ci rende disperati…”. Nella pacata luce antibatterica del suo ripostiglio, il libro se ne stava innocuo, innocente. Non era il Graal; non era la pianta di Atlantide; non era nulla che si potesse confondere dietro la cortina fumosa del Mito. Gli scienziati ci sguazzavano negli altri misteri: oggi uno pubblicava una fesseria scaturita da indizi fittizi e teorie artefatte; domani, un altro Solone, teneva un giro di conferenze per denigrare l’opera del suo collega… chiacchiere, chiacchiere inutili sul nulla. Uno dei sistemi più pratici per far scaturire finanziamenti, e mantenere posti di prestigio, a spese dei “fedelissimi” della letteratura del mistero.
Del Voynich, invece, era rarissimo sentir parlare. Adesso per Davide era evidente l’interesse mai sopito e le spese che comportava detenere il manoscritto. Il libro c’era: bello, corposo, intatto… sembrava sfidarti apertamente. Per un momento s’immaginò di vederne l’artefice: un amanuense col corpo grasso, basso e beffardo, una specie di “Monaciello”, il tipico fantasma delle notti napoletane, se ne stava appollaiato sulla copertina e rideva, sfidandoti, ben conscio dei tuoi limiti.
‐ E quindi uscimmo a riveder le stelle! – disse Davide un po’ triste, disponendosi a concludere la sua breve avventura… ma Corbett si voltò e lo fissò, probabilmente senza vederlo.
‐ Stelle? Ragazzo… hai detto Stelle?! Stelle… ah ah – e per la prima volta il vecchio compassato sembrava un ragazzino dopo la sbronza: era felice. Scuoteva Davide con le mani e rideva, entusiasta – Puoi tornare domani, ragazzo?
Davide non capiva assolutamente niente ma fece cenno di sì, più spaventato che entusiasta. Claire lo fissò stranamente, con occhi di fiamma, tanto da metterlo a disagio, ma poi parlò, e con la sua deliziosa voce, espresse pensieri del tutto soavi, in netto contrasto con la fiammata di un attimo prima. Davide pensò che si era certo sbagliato ma anche che è vero: gli scienziati sono tutti un un po’ lunatici.
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